Un testo e una musica per la casa di Dio

di Marina Valmaggi

Nel 2016 sono stata invitata, come cantautrice e autrice di opere di Musica Sacra, a tenere una relazione all’interno del convegno nazionale annuale dell’Associazione Italiana Santa Cecilia (Tre giorni di formazione liturgico musicale - Assisi, 7 – 10 marzo 2016).

La domanda che mi è stata rivolta è questa: con quali criteri compone i testi e la musica?

Pur basandomi sulla mia personale esperienza, ho voluto allargare la riflessione alla comunicazione della fede attraverso il canto.

 

Marina Valmaggi “Un testo e una musica per la casa di Dio” Assisi, 09 03 2016 Relazione per la Tre giorni di formazione liturgico musicale Convegno nazionale dell’ ASSOCIAZIONE ITALIANA SANTA CECILIA dal tema “Penitenza ed Eucaristia, fonti di misericordia”

 

Assisi, 7 – 10 MARZO 2016

Per introdurre il tema dell’intervento e spiegare che cosa mi guida nella scelta dei testi per le mie musiche, partirò da un episodio relativamente recente.

A pochi mesi di distanza dallo tsunami che ha sconvolto le coste del Giappone settentrionale, sono stata invitata da un’amica, docente presso l’università di Nagoya, a recarmi nei villaggi dei superstiti, con un duplice scopo: pregare per le vittime e

portare il conforto del canto italiano tra i superstiti. Una sorta di “caritativa” con la musica. Benché sembrasse un’impresa ardua, siamo partiti in un piccolissimo gruppo.

Facevamo sino a tre concerti al giorno, nei luoghi più diversi (anche un carcere minorile) tra Ishinomaki e Shondai, vicino a Fukushima. Era agosto, il mese dei morti, per i giapponesi. Nei luoghi sacri del Buddismo e dello Shintoismo, mentre i

presenti ascoltavano in silenzo chiudendo gli occhi e pregando quello che loro chiamano “il Mistero”, abbiamo scelto spesso di cantare con le parole del salmo 101, che avevo musicato quand’ero molto giovane: “Sono come soffio di vento, e i miei

giorni sono come ombra che si dissolve, la mia anima non trova la sua pace. Ma tu, Signore, rimani in eterno…” (1). Sulla montagna sacra Della Luna, o nei templi e negli sterminati cimiteri, ci accomunava a quelle genti la domanda, l’implorazione, la

speranza. Non solo pregavamo per loro: volevamo essere la loro voce. E i Salmi hanno questa caratteristica di universalità: descrivono l’uomo, di ogni tempo e di ogni luogo, il singolo con i suoi sentimenti e la sua interiorità, il popolo con i suoi

drammi e le sue aspirazioni (2).

IL TESTO

Quando ho conosciuto per la prima volta una comunità cristiana, da adolescente, sono stata attratta non solo dalla bellezza dei loro canti, ma dalla cura, dal modo in cui cantavano, dalla convinzione, per cui le parole erano veramente efficaci e arrivavano

al cuore.

Così ho ripreso un rapporto più serio con la musica, che prima era solo un passatempo. È divenuta per me il veicolo di scoperte, emozioni, riflessioni, preghiere.

Mi sono accostata poco a poco ai testi sacri anche come musicista.

A volte, mentre pregavo con la preghiera delle Ore, mi accadeva di sentire riverberare dentro di me una parola, o una frase, che poi si traduceva in musica. È stato forse un passaggio inconsapevole dai testi spontanei, che nascevano dalla mia prima esperienza della Fede, come “Tu sei venuto dal buio, e il mio mantello di notte hai folgorato di splendore…” (la spontaneità era infatti la caratteristica delle prime composizioni), a testi più oggettivi, universali, come quelli dei Salmi.

Mi è capitato anche di scrivere su richiesta esplicita di altri (cosa che in teoria respingevo). È accaduto, ad esempio, con il salmo 21 (“Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”) che dovevo preparare con il coro per la Via Crucis del Venerdì

Santo. Non riuscivo a trovarne uno la cui musica mi convincesse, e stavo per rinunciare ad inserirlo. A quel punto, il sacerdote che guidava la mia comunità mi ha detto, spazientito: “E allora scrivine una tu!”

Ho preso sul serio la richiesta: leggendo e rileggendo il salmo, cercavo di immedesimarmi nei presenti, che assistevano alle ultime ore di Gesù e che udirono il suo grido. E così è nata quella musica, che cantiamo da tanti anni. La gioia più

grande è stata sentirla intonare, durante il “Passio” della domenica delle Palme del ’79, dal Santo Padre Giovanni Paolo II!

Questo metodo mi ha guidato quando, diversi anni dopo, le Edizioni Paoline mi hanno invitato a comporre una raccolta di ben 36 salmi. Mi pareva un compito sproporzionato alle mie forze, visto che ne avevo musicati pochissimi. Ma cerco di non dire mai di no ad una cosa buona che mi viene chiesta. Ci sono voluti anni, è stato necessario consultare molti studi, vagliare le traduzioni e ascoltare voci autorevoli: ma la raccolta alla fine rispondeva al mio sincero sentire e, spero, alle esigenze di esecuzione per un popolo in preghiera (3).

La personalizzazione di un testo non scritto da me è sempre stato un percorso

importante.

Mi è accaduto con le parole del “Magnificat, ad esempio.

Stavo pregando con il libro delle “Ore”, quando ho incontrato quel testo che pure leggevo ogni giorno nei Vespri: ma quel giorno il mio cuore era traboccante di gioia e di gratitudine perché avevo appena scoperto di aspettare un figlio. E la musica è

sgorgata improvvisa, a lode di Dio e in ringraziamento per il suo dono: una piccolissima scintilla di quella gioia che ha fatto pronunciare alla Vergine Maria le sue parole eterne, cariche di sconfinata sapienza.

Qualcosa di analogo mi è accaduto anche con un testo appartenente ad una lauda spirituale del XVI secolo: “Dimmi, dolce Maria” (4). L’avevo appena trascritto da una vecchia stampa, rinvenuta nella Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, ma ero

insoddisfatta: dopo il bell’avvio, testo e musica si perdevano in uno sviluppo complicato e, a mio parere, si staccavano dallo spunto iniziale. Allora ho pensato di riscrivere testo e musica, a partire da quell’incipit importante. Il nuovo testo

rispecchia le mie domande, come donna e madre, per la Madre del Salvatore:

 

“Dimmi dolce Maria, a che pensavi quando contemplavi il volto di Gesù, tuo dolce figlio e tuo dolce Signore? A che pensavi quando allevavi il Bambino nella tua casa, e della sua parola ti nutrivi?” (5)

Ho fatto questo esempio per indicare l’indissolubile legame dei testi, nuovi o preesistenti, con la mia personale esperienza. Se non ci fosse adesione, personalizzazione, il valore del brano sarebbe quello di un’esercitazione.

LA MUSICA

E questo passaggio, dai miei testi “spirituali” a quelli universali della Sacra Scrittura, ha richiesto da parte mia un maggior impegno anche nelle conoscenze musicali. Ho ripreso gli studi (a cui mi avevano indirizzato i genitori da piccola, ma con scarso

esito a causa del mio disinteresse) sostenuta da una nuova forza: lo “zelo per la casa di Dio”. Studiare diventava parte del mio impegno cristiano: per il coro polifonico e la liturgia, ma anche per me stessa. Dai testi dei Concilii alle partiture scovate nelle

biblioteche o nelle vecchie canoniche (le “civiltà sepolte” mi attirano sempre), era un’incessante ricerca su come la Fede cristiana si sia espressa attraverso la musica e in particolare attraverso il canto. Ho scelto la tesi di Laurea nel campo della Storia

della Musica, orientandomi verso la musica sacra dei paesi dell’Est Europeo (a quei tempi, oppressi da una dittatura atea che praticava la “damnatio memoriae” e opponeva molti ostacoli anche agli studiosi laici); in seguito, ho conseguito il

Perfezionamento in Musicologia e, più di recente, un master in Arti sacre e Liturgia (UPRA, Roma, a.a. 2007-2008), senza abbandonare tuttavia la pratica del canto e degli strumenti a me congeniali. Non si trattava solo di conoscere meglio le

indicazioni della Chiesa, la Tradizione, la Storia della Musica Sacra e dintorni: si trattava anche di utilizzare le conoscenze tecniche (di armonia, di uso della voce e degli strumenti musicali) secondo una sensibilità nuova, capace di parlare all’uomo

del nostro tempo. Mi muovevo – e come me molti altri compositori – fra la tentazione di una comunicativa facile, emozionale, e la noia della ripetizione o dell’esercitazione retorica. Desidero sinceramente trovare un linguaggio nuovo, adeguato al sacro,

senza rescindere il legame con la tradizione.

Per questa nuova sfida ho ricevuto un forte stimolo da un’osservazione del M°Enrico Intra, quando stavamo registrando le parti orchestrali dei miei “Salmi per la Preghiera”. Mi disse, riferendosi alle mie scelte passate in campo armonico e

strumentale: “La tua fantasia musicale è più avanti delle tue conoscenze tecniche”.

Mi vergognai di me stessa: mi ero adagiata evidentemente su un sapere acquisito e avevo smesso di cercare.

Da allora non ho più interrotto la mia ricerca, ed ho avuto la fortuna di incontrare veri maestri (6).

 

Credo che questo nostro tempo abbia molto in comune con quello in cui si realizzò il Concilio di Trento: un Concilio drammatico, in cui anche la concezione della musica sacra risentì di molte tensioni. Da un lato infatti pesava una tradizione polifonica

divenuta sempre più sofisticata, avulsa dalla pratica liturgica e spesso colpevole di rendere inintelleggibili i testi; dall’altro premeva l’innovazione musicale del mondo protestante, che aveva trovato nel corale e nella musica popolare una forma musicale di facile apprendimento e comprensione da parte del popolo. Due grandi figure salvarono il mondo cattolico dal rifugiarsi nel solo canto gregoriano: Giovanni Pierluigi da Palestrina, con la sua splendida “Missa Papae Marcelli”, e San Filippo

Neri, con la Lauda polifonica giustamente detta “filippina”. Come sappiamo, si tratta di componimenti in lingua volgare, spesso a sole tre voci o anche due, con testi completamente nuovi benché rigorosamente ispirati alle Scritture (soprattutto al

Nuovo Testamento). Filippo Neri ha iniziato una vera e propria opera di evangelizzazione attraverso la musica, con le laude polifoniche in lingua italiana, dalle armonie bellissime, tuttora eseguite. Per la maggior parte, sono più adatte a paraliturgie, come una Via Crucis o un Presepe Vivente, e a momenti di spiritualità: ma molte di queste possono ben comparire anche durante l’azione liturgica.

La musica ha una grande responsabilità nella comunicazione della Fede: e la polifonia contribuisce alla contemplazione in modo potente, come ho potuto constatare in particolare in un’occasione. Al ritorno da un viaggio a Milano, dove avevo dovuto difendermi in tribunale dal plagio di una mia canzone, mi ero recata alla Messa con la mia comunità; ma non riuscivo a concentrarmi, ero nervosa e distratta, riandavo continuamente alla giornata trascorsa. Alla Comunione, il coro ha intonato “O Sacrum Convivium” di Pergolesi: e allora con tutta me stessa ho cominciato a pregare, a rivolgermi a Dio, a camminare con gli altri in processione per ricevere la Comunione, pienamente consapevole di quello che stavo vivendo. Fra i

presenti c’era un giovane paraguayano, anche lui stanco per il lungo viaggio: e raccontò che in quel preciso momento gli era parso di essere in Paradiso. Il canto lo aveva strappato, come era accaduto a me, dai suoi pensieri e l’aveva condotto oltre il

limite della circostanza particolare.

È per questo che cerco di non fermarmi alla melodia ma, per quanto posso, di trovare anche la forma polifonica per le mie composizioni religiose.

Nella “canzone spirituale” non mi ero mai posta e non mi pongo troppi problemi di ordine stilistico: un certo tipo di repertorio (nato negli anni ’50 e ’60, con p.M.Cocagnac e p.A.Duval), che possiamo definire semplicemente dei “cantautori cristiani”, ha effettivamente un valore di annuncio della Fede, di testimonianza e di preghiera semplice, che talora può essere accolta perfino nella celebrazione liturgica, soprattutto giovanile (7) ma in generale è più adatta ai “catecumeni”, come li si chiamava un tempo. Via via, mi sono interessata progressivamente a forme più mature di espressione, che passano necessariamente dalla polifonia: perseguo una polifonia rigorosa ma anche ardita, capace di parlare un linguaggio nuovo. Come sempre, occorrono “cose antiche e cose nuove”, perché la vita è un cammino, una storia.

Dal percorso compiuto, è nata la produzione di due Oratori per soli, Coro e Orchestra: “Santo Stefano – Scene e voci da un martirio” e “Iustus” dedicato ad un giovane beato del XX secolo.

Non avrei mai avuto l’ardire di affrontare imprese simili, e ammetto di avere cominciato per motivi apparentemente occasionali.

Nel 2003, un pianista amico, Enzo Bocciero, che sapevo ateo e con una vita per così dire avventurosa, mi disse di avere scritto delle musiche per Santo Stefano, ma di avere bisogno di un testo adeguato. Vista la mia espressione sbalordita, chiarì subito

che aveva acconsentito a scriverle per la festa del patrono della sua città d’origine, Baiano. In quel periodo, quel santo mi era particolarmente familiare, forse per la morte improvvisa di un giovane di nome Stefano, la cui breve vita era stata una

straordinaria testimonianza di fede e di carità cristiana. E avevo ancora nel cuore le parole di una bellissima omelia dedicata al protomartire. Scrissi il testo, interpolando le riflessioni e le preghiere con passi degli Atti degli Apostoli; e fui invitata da Bocciero a scrivere nuove musiche adatte a quei testi, da alternare a quelle ideate da lui. Ne è nata una composizione a quattro mani, in cui si realizzava il connubio fra una scrittura vocale legata alla tradizione della musica sacra e una fantasia orchestrale svincolata dai modelli dell’oratorio classico, capace di creare nuovi scenari sonori.

Lo eseguimmo per la prima volta nella chiesa parrocchiale di Baiano, dedicata a Santo Stefano. All’uscita, la gente commentava: “Che bella funzione!” Era un buon segno: infatti la nuova opera era stata recepita come una paraliturgia, non come un concerto. L’abbiamo poi replicato in numerose città, constatando che il nuovo linguaggio era in grado di parlare a tutti: anche agli studenti dell’Università Bocconi, che erano stati compagni del giovane Stefano.

E a distanza di alcuni anni, abbiamo replicato la nostra collaborazione con l’oratorio “Iustus”, rappresentato a Rimini nell’ottobre scorso, sempre per soli, coro e orchestra:

anche questo è dedicato ad un giovane, il beato Alberto Marvelli, dalle virtù cristiane eccezionali.

LA COMUNICAZIONE

Benché il titolo sia in latino, in realtà anche il testo del secondo oratorio è scritto in lingua italiana. E questo mi dà l’occasione per parlare di un altro argomento che mi sta a cuore.

Mi sono posta spesso il problema della scelta della lingua: da un lato, l’esigenza di comunicativa induce a optare per la lingua italiana; dall’altro, la nobiltà della lingua latina e la sua eccellenza come lingua ufficiale della Chiesa costituiscono un motivo

più che valido per farne uso anche in composizioni moderne (8).

Ho scelto di utilizzare in prevalenza la lingua italiana, inserendo parallelamente,

quando possibile, anche brani in latino.

Nell’oratorio “Santo Stefano”, questo accade in apertura e in chiusura. “Vere languores nostros Ipse tulit” è seguito dal brano “Davvero Lui ha portato la nostra fragile umanità”; nel finale, “E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi” approda a

“Et absterget Deus omnem lacrimam ex oculis eorum”. Nell’oratorio “Iustus”, la citazione del salmo 115/116 è fatta prima in latino (“Pretiosa in cospectu Domini mors sanctorum eius”) e poi in italiano (“Preziosa è agli occhi del Signore la morte dei suoi santi”), senza soluzione di continuità.

Ma l’uso della lingua italiana non è privo di vincoli e problemi. Innanzitutto evito di utilizzare traduzioni imprecise o perifrasi che si discostano dal testo (San Girolamo sosteneva che “In sacris Scripturis etiam ordo verborum Mysterium est”, “nella Sacra Scrittura anche l’ordine delle parole è parte del Mistero”): e già questo non è facile.

Mi è accaduto di dover derogare, ad esempio, nel salmo 41: “Come una cerva anela ai corsi d’acqua”: mi è stato fatto osservare che il verbo, già di per sé inusuale, finiva per trasformarsi, nel canto del popolo, in un aggettivo: “Come una cerva nera”! Per

aggirare questo ostacolo, ho inserito l’aggettivo “assetata”, cosicché ne è risultata un’espressione inequivocabile: “Come una cerva assetata / anela ai corsi d’acqua…”.

Con questo intendo dire che ogni intervento deve avere precise motivazioni, e non essere mai casuale o dettato da intenti retorici.

Se è vero che, con Cristo, Dio ci ha permesso di dargli del Tu, io non potrei mai attingere a un lessico filosofico, astratto, oppure antiquato, o ricercato: allontanerei gli ascoltatori e renderei indecifrabile il messaggio.

A questo riguardo, ho trovato uno stimolo e una guida preziosa in Sant’Agostino e nella sua predilezione per il sermo humilis, inteso come un linguaggio degno di esprimere la realtà della humiliatio di Cristo: la Sua incarnazione.

Si tratta di una grande lezione, che l’Auerbach ha evidenziato in un interessante testo su lingua e stile della letteratura cristiana delle origini (9).

Commentando vari passi del De Doctrina, infatti, mette in luce come Agostino si sia posto il problema stilistico della comunicazione con piena conoscenza della grande tradizione retorica antica, ma rivoluzionando letteralmente le scelte ciceroniane.

Infatti nell’oratoria classica, e in particolare nei dibattimenti in tribunale, il “sermo humilis” era riservato alla cronaca, alla descrizione degli eventi; lo stile “medio” o temperato era incaricato di accendere gli animi degli ascoltatori e catturarne il favore;

lo stile elevato serviva per l’apologia e per perorare la causa dibattuta. Ebbene, fra i tre stili propri dell’ars oratoria, l’elevato, il medio e l’umile ovvero disadorno, egli privilegia il sermo humilis per tutto ciò che riguarda la Rivelazione e soprattutto -

sorprendentemente - per la dottrina e l’esegesi.

 

Io trovo commovente la preoccupazione di Agostino che gli ascoltatori «non si sentano come dei poveri di fronte ai ricchi» e che gli oratori non rendano, con la superbia dello stile, inaccessibili al popolo i grandi temi della Salvezza: per questa

ragione, senza ripudiare lo stile elevato e quello temperato, egli suggerisce di usare in prevalenza il sermo humilis. Il primo fine di questa completa, radicale deviazione dalla tradizione retorica è dunque l'intelligibilità della materia, per cui l'esigenza di chiarezza diviene prioritaria rispetto ad altre considerazioni.

Credo che la stessa preoccupazione debba guidare chi scrive testi per la musica cristiana: occorre perseguire la limpidezza del linguaggio, la precisione, la scelta di un lessico chiaro. Occorre allo stesso tempo rifuggire dalla banalità (e qui mi astengo dal fare citazioni) e cercare l’essenzialità. Se un testo nasce da un’esperienza reale, da un’adesione personale alla Fede, e non da velleità estranee all’autentica ispirazione, è immediatamente comprensibile e quasi sempre facile da memorizzare.

 

 

CANTI presenti su YouTube:

SONO COME SOFFIO DI VENTO

TU SEI VENUTO DAL BUIO

SALMO 21: MIO DIO, PERCHE’ MI HAI ABBANDONATO

MAGNIFICAT

DIMMI, DOLCE MARIA

O SACRUM CONVIVIUM

CANTI DI p.COCAGNAC: LA FEMME ADULTÈRE

CANTI DI p.DUVAL: SEIGNEUR, MON AMI

 

ORATORIO S.STEFANO:

PASSIM: n. 1, 9, 10, 11, 12, 20, 21

ET ABSTERGET DEUS

 

ORATORIO IUSTUS:

LA CASA:

SIRVENTESE DELLA GUERRA

IL GIUDIZIO

 

BIBLIOGRAFIA

L.Giussani, “Che cos’è l’uomo perché te ne curi?” (Ed.San Paolo, 2000)

Aa.Vv. “Musica e Storia”, XIII/3, 2005, Fondazione Levi, Soc.Ed. Il Mulino “Musica e Storia”,

XIII/3, 2005, Il Mulino

E. Auerbach, “Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo”, Aromando,

Milano, 1974

M.Valmaggi, “E si cantava” (Ed.Rodaviva, 2014)

 

DISCOGRAFIA

“Canzoni Spirituali” (Rugginenti, 1979)

“Dimmi, Dolce Maria” (Paoline, 1985 – Presentazione di R. Laurentin)

“Salmi per la Preghiera” (Cofanetto: Paoline, 1986-1991 - Presentazione di mons. G.Ravasi)

“Salmi per la preghiera e per la liturgia” (Paoline, 2000)

“Oratorio S.Stefano - Scene e voci da un martirio” (Testo di M.Valmaggi, Musiche: Valmaggi-

Bocciero) (Rodaviva Ed.Mus. 2005)

 

“Oratorio Iustus” (Testo di M.Valmaggi, Musiche: Valmaggi - Bocciero) (Rodaviva Ed.Mus. 2016)

 

Note:

1 cfr. LP “Canzoni Spirituali” e “Cantate al Signore un canto nuovo” Agape - Rugginenti Editore, 1979.

 

2 L.Giussani, “Che cos’è l’uomo perché te ne curi?” (Ed.San Paolo, 2000).

3 cfr. “Salmi per la preghiera” Ed.Paoline - Cofanetto, CD e spartito - Presentazione di mons. Gianfranco Ravasi.

4 cfr. Fra Serafino Razzi “Libro Primo delle Laudi Spirituali” (1563) presso la biblioteca citata –

 

ristampa anastatica a cura di Forni Editore Bologna – 1969.

5 cfr. “Dimmi, Dolce Maria” Ed.Paoline. – LP e spartito (ascoltabile anche su iTunes)

6 Mi permetto di citarne uno fra tutti: mons. J.Gabriel Segade, organista e compositore argentino, autore di opere sacre, come la “Missa San Gabriel” e il poema sinfonico “Llanto de la Virgen”, ma anche di opere dedicate alla religiosità, popolare come i due album “Clasicos de la canción religiosa

 

popular” (Ed.Paulinas) e le musiche corali della celebre “Misa Criolla” di Ariel Ramírez.

7 cfr. M.Valmaggi, “Liturgia o animazione?” in “Musica e Storia”, XIII/3, 2005, Fondazione Levi,

 

Soc.Ed. Il Mulino, pagg.625-649.

8 Alcuni testi in latino sono del resto di facile comprensione anche per chi non conosce questa lingua: ad esempio, il brano tradizionale JESU TIBI VIVO. “Jesu, tibi vivo, Jesu tibi morior, Jesu sive vivo sive morior tuus sum” (Gesù, io vivo per Te, Gesù io muoio per Te. Gesù, sia che io viva, sia che io muoia, sono tuo).

9 cfr. E. Auerbach, “Literatursprache und Publikum in der lateinischen Spätantike und im Mittelalter”, Bern, Francke, 1958 - trad. it., “Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo”, Milano, Armando Ed., 1974.